La didattica e la distanza, ricordando Alberto Manzi.

Gli eventi traumatici costituiscono delle sfide, a maggior ragione quando non si è preparati a tali eventi. Essi insegnano nel senso proprio che lasciano-il-segno, da essi cioè si dovrebbe imparare. Potremmo dire che quattro mesi di privazione della scuola ci hanno insegnato che Internet e le tecnologie della comunicazione hanno straordinarie potenzialità didattiche, e bisognava essere costretti a provare per credere, provando anche cosa succede quando le infrastrutture necessarie sono scadenti, come spesso è avvenuto. Ma ci hanno anche insegnato che la scuola, espropriata della sua fisicità, e costretta unicamente nel formato approssimativo e ridotto dello schermo di un computer e nell’isolamento domestico, diventa insopportabile, quindi inefficace. Quando negli anni Sessanta la RAI e il Ministero della Pubblica Istruzione progettarono Non è mai troppo tardi, il programma televisivo per gli adulti analfabeti condotto da Alberto Manzi, non si affidarono solo alla televisione e alla sua educazione a distanza, ma istituirono oltre 2000 Posti di Ascolto Televisivo (a cui se ne aggiunsero altri spontaneamente) dove degli insegnanti, dopo aver visto il programma con le persone che lì si ritrovavano, facevano scuola a partire dalle suggestioni di quel maestro televisivo. Affidare solo alla TV l’obiettivo di alfabetizzazione sarebbe stato un fallimento.

Chissà se la scuola, dal trauma di questa esperienza, avrà imparato qualcosa sulle potenzialità didattiche delle tecnologie della comunicazione e su come farne buon uso nella normalità. La resilienza non riguarda solo le persone, ma anche le istituzioni.

Scarica qui tutti gli interventi raccolti da Roberto Farné e Tania Convertini:
http://www.educationduepuntozero.it/wp-content/uploads/2020/09/manzi.pdf

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